Sempre più spesso nelle città europee i gatti appaiono come compagni quotidiani, ma la loro storia sul continente è molto diversa da quanto si è pensato a lungo. Le tracce genetiche rivelano infatti che i gatti domestici moderni sono arrivati in Europa solo circa 2000 anni fa, durante l’Impero Romano, provenendo principalmente dal Nord Africa. Questa svolta nelle conoscenze proviene da un’analisi approfondita dei genomi antichi e attuali, che ha spinto a riscrivere l’evoluzione e le migrazioni di questi animali tanto familiari.
Un dettaglio importante è che i resti felini trovati in siti europei del Neolitico non corrispondono a gatti domestici, ma a popolazioni di gatti selvatici europei. Questi ultimi avevano in epoche remote incrociato alcuni felini africani, dando vita a una mescolanza naturale distinta rispetto ai gatti domestici. Il confronto tra DNA mitocondriale e nucleare ha evidenziato storie differenti, dimostrando che le origini europee dei gatti non sono così lineari come si pensava. Chi vive in città spesso non immagina che queste sottigliezze genetiche raccontino storie di migrazioni animali legate a contesti storici specifici.
Il lavoro scientifico indica due principali ondate di ingresso dei gatti africani in Europa. La prima, datata intorno a 2200 anni fa, è stata identificata in Sardegna. Qui è stato trovato il più antico gatto europeo con caratteristiche genetiche di felini selvatici nordafricani, probabilmente introdotti nel Mediterraneo da popoli come Fenici, Punici o Romani. Questi animali non erano completamente domesticati ma vivevano vicino agli insediamenti umani, evidenziando una convivenza stretta ma non una domesticazione completa.
Un ruolo centrale delle civiltà mediterranee nella diffusione del gatto
Successivamente, tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., è avvenuto un secondo, più significativo, afflusso di gatti moderni in Europa, con un patrimonio genetico legato ai felini selvatici del Nord Africa occidentale, in particolare la Tunisia. In questo periodo le grandi potenze mediterranee come i Romani, i Cartaginesi e i Fenici hanno giocato una parte decisiva nella dispersione di questi animali. Attraverso rotte commerciali, spostamenti militari e reti portuali, i gatti si sono diffusi ampiamente nel continente.

Un esempio chiaro proviene dall’Austria, dove in un sito datato tra il 50 a.C. e l’80 d.C. è stato rinvenuto un gatto con DNA tipico delle popolazioni domestiche moderne. Profili simili tornano in altri siti legati alla presenza romana, come le fortificazioni sul Danubio oppure in Britannia. Ecco perché la genesi dei gatti domestici europei è strettamente intrecciata alla storia di questi grandi imperi e ai loro scambi sul Mediterraneo e oltre. È un dettaglio spesso sottovalutato, ma importante per comprendere la diffusione del gatto nel continente e le diverse tracce genetiche che emergono ancora oggi.
Per chi vive in un ambiente urbano, può sorprendere sapere che fino a poco tempo fa si riteneva che l’Egitto fosse la culla esclusiva dei gatti europei, basandosi sulle mummie feline e su parte del DNA mitocondriale. Tuttavia, lo studio del DNA nucleare, più analitico e affidabile, ha messo in luce un legame più forte con i gatti selvatici tunisini. Da qui nasce l’ipotesi che la domesticazione del gatto abbia avuto un’origine più complessa, con contributi da diverse popolazioni nordafricane, e non soltanto dall’Egitto. Questo cambia il quadro tradizionale e apre nuove prospettive sugli scambi genetici e culturali coinvolti.
Tra mescolamenti e popolazioni: la storia genetica del gatto in Europa
Lo studio ha inoltre indagato come i gatti selvatici europei e i gatti introdotti si siano incrociati nel tempo. Le analisi mostrano che in regioni come Anatolia e Balcani, la componente genetica di origine africana oscilla tra il 7% e il 34%, sottolineando un livello significativo di mescolanza. Al contrario, nel periodo romano la presenza di DNA selvatico europeo nei gatti domestici era piuttosto bassa, tra lo 0% e il 6%. Nel Medioevo, però, questa percentuale è aumentata fino a circa il 15% in alcune zone, probabilmente per una maggiore interazione tra felini domestici e selvatici.
Un altro punto interessante riguarda aree come la penisola iberica e la Sardegna, dove il mescolamento genetico è risultato minimo o assente. Qui i gatti conservano un patrimonio genetico più puro, segno di particolari dinamiche storiche e geografiche. Questo intreccio tra aspetti biologici e storici restituisce un’immagine articolata dell’adattamento e della diffusione dei gatti in Europa, spesso influenzata dalle migrazioni umane.
La storia della diffusione del gatto nel continente non è un semplice racconto naturalistico, ma un esempio di come gli scambi culturali e commerciali nel Mediterraneo antico abbiano influenzato anche il regno animale. Questi legami genetici conservati nelle varie regioni europee sono testimonianze viventi di un percorso evolutivo complesso, che continua a essere oggetto di studio e osservazione da parte di appassionati e specialisti ogni giorno.
